La città di vapore
E’ sempre un piacere leggere le pagine riempite dalla fantasia e dalla capacità stilistico-creativa di Carlos Ruiz Zafón. In questo caso, però, il piacere si fonde e sprofonda nel dolore e nella malinconia, avendo la certezza dell’assenza futura di nuove pubblicazioni. “La città di vapore” (Mondadori) è l’ultima apparizione editoriale dello scrittore catalano, deceduto nel 2020 a soli 55 anni di età.
Un libro, gustato in pochi giorni, acquistato per regalarlo a mio figlio Alessandro. Zafon, e le sue storie, sono, infatti, un’occasione per sentirci più vicini ed uniti e, negli anni, ci hanno accompagnato su percorsi comuni, compreso un indimenticabile viaggio a Barcellona.
Per questo, è stata una grande emozione leggere il pensiero che prelude all’inizio delle storie dedicato, appunto, al rapporto tra padre e figlio.
Ora che le pagine da leggere sono finite, prima di consegnarlo al destinatario, mi sono appuntato un passaggio che dimostra la capacità dell’autore e conferma quanto sia bello leggere.
Barcellona, appunto. Anno domini il 1569. Sono tempi leggendari in cui la storia non aveva altro artificio se non la memoria del mai accaduto e la vita non aspirava ad altri sogni se non a quelli fugaci e passeggeri. Don Miguel de Cervantes Saavedra e Sancho Fermìn de la Torre sono al tavolo di una locanda. Parla Don Miguel….
“E raccontò, poichè nelle sue vene scorreva il vino della narrazione e il cielo aveva voluto che fosse una sua pratica raccontare prima a se stesso le cose del mondo per poterle comprendere e poi raccontarle agli altri, vestite con la musica e la luce della letteratura, perchè intuiva che se la vita non era un sogno era almeno una pantomima, dove la crudele assurdità del racconto fluiva sempre dietro le quinte, e non esisteva tra cielo e terra vendetta più grande e più efficace che scolpire la bellezza e l’ingegno a colpi di parole per scoprire il senso del nonsenso delle cose“.